IL SILENZIO E’ ORO

Mi è capitato di pronunciare questa frase qualche giorno fa in occasione di una passeggiata in montagna: un’area verde, incontaminata e soprattutto silenziosa.

Il silenzio è da sempre considerato qualcosa di prezioso, ma lo è sicuramente ancor di più in questa epoca assordante, nella quale siamo costantemente bombardati da suoni, rumori, stimoli e parole e da  essi siamo raggiunti quasi ovunque. Ed è oggi estremamente raro, ancora più dell’oro. 

Ritrovarlo – il silenzio – è come entrare in una diversa dimensione che ci fa sperimentare che esiste “altro” e che questo “altro” è in sé un’enorme possibilità di essere e sentire veramente.

Che cos’è, dunque, il silenzio?  Una possibilità.

E’ seguire con lo sguardo una nuvola che cambia la sua forma e poi passa o si dissolve, è ascoltare il sussurro del vento e la voce della natura. Infatti, la terra che ci accoglie, detta anche madre, ha un cuore vivo e pulsante  e questo me lo ha ricordato non solo l’esperienza vissuta ma anche la scritta affissa sul frigorifero di una collega: due parole scritte in successione HEART -cuore- e EARTH- terra (lettere che compongono la stessa parola, solo che in ordine diverso).

E’ avvertire la nostra presenza e la presenza dell’altro. Nel silenzio pare più facile dire “Io sono”, “Tu sei”. Lo si sente, lo si percepisce.

E’ la sola e unica condizione per ascoltare. Veramente.

E’ il terreno fertile su cui seminare e far germinare pensieri e parole. Parole nutrite di attesa, pensate  soppesate, scelte con cura e donate, non solo usate. Poche ma buone. Essenziali. Il Q.B. (quanto basta).

Il proverbio antico recita infatti “il silenzio è d’oro, la parola d’argento”, dando il primato al silenzio. Silenzio come grembo o incubatrice, poiché sono l’accoglienza e la cura che permettono e danno vita ad una autentica comunicazione.

Silenzio e parola sono entrambi preziosi ma con un valore consequenziale. Non c’è buona parola che non nasca da un “vuoto”, da un momento di riflessione o da un ascolto profondo (fare vuoto). A volte, inoltre, astenersi dal parlare vale più che intervenire. Lo ricorda anche Viktor Frankl quando in Homo patiens dice “ dove tutte le parole sarebbero ben poca cosa, la ogni parola è di troppo”. Questo accade di fronte alla sofferenza e al dolore altrui, poiché il linguaggio ha dei limiti e la vera compassione è soprattutto presenza e silenzio. Inoltre, a volte, le parole consolatorie per chi è in difficoltà suonano di fatto inopportune.

Il silenzio è esso stesso comunicazione. Il primo assioma della comunicazione umana, secondo la scuola di Palo Alto, è “non si può non comunicare”, ovvero si comunica anche con il silenzio e con lo sguardo. Anzi, ogni relazione di cura inizia proprio dallo sguardo.

Inoltre, è altrettanto importante saper tollerare i silenzi e i vuoti comunicativi dell’altro.

Il silenzio è quel “TRA” un IO ed un TU, ovvero è la premessa generativa della relazione, così come lo è della vita. E’ quello spazio del possibile dove ci si incontra e si inizia a coltivare e costruire insieme.

Quando in un colloquio di counselling sono stata ringraziata per il mio silenzio ho preso consapevolezza di una cosa importante: in questa epoca assordante il silenzio spesso è una “rivoluzione” perché accoglie, fa spazio, offre tempo e soprattutto permette all’altra persona di essere presente e di osservarsi veramente e so-stare nei propri vissuti e nelle proprie parole. E’ ri-generatore, proprio perché raro.

Spesso la tentazione di dire e di offrire una parola o più parole rischia di soffocare la ri-generazione altrui, la possibilità dell’altro di comprendersi e aiutarsi veramente (in modo mirato e personalizzato).

Il counselling, in particolare, permette di partorire “socraticamente” (a Socrate si rifà l’arte maieutica del “tirare fuori” così come l’opera della levatrice durante il parto) la risposta ai propri quesiti: più io mi ascolto più tiro fuori quello che c’è dentro, più tiro fuori più sono consapevole di me e pertanto più sono consapevole più sono libero di autodeterminarmi (decidere azione dopo azione chi sono).

Il silenzio va assaporato, goduto, sperimentato e soprattutto allenato.

Nel silenzio infine nasce l’intuizione e l’ispirazione, la possibilità di sentire la propria voce interiore che troppe volte confondiamo con la voce esteriore degli altri o con il generico “così si dice”. Nasce il contatto con la propria dimensione spirituale: immensa, ricca e spesso inafferrabile.

Nel mio silenzio ho sentito che quello che potevo dire e dicevo era mio, non era ripetizione di qualcosa di sentito (un mero copiare) semmai ri-edizione di qualcosa che avevo appreso e “digerito” e quindi fatto mio o di qualcosa di totalmente originale, legato al mio “sentire”. Perché se non senti non sei autenticamente.

Il silenzio è stato palese in questi lunghi mesi di assenza dal mio neonato blog, perché semplicemente non trovavo le parole e se le trovavo non le sentivo. Il silenzio mi ha messo alla prova, così come accade quando si frappone nelle relazioni importanti. Ma è lì che si da valore o a quello che manca o a quello che c’è.

Mi sono chiesta se in questo silenzio, non esistendo “mediaticamente”, avrei perso visibilità e sarei rimasta indietro. Ho accettato la prova. Ho aspettato. Mi sono data tempo.

Ora sono qui ad onorarne il passaggio e a ringraziarlo per la lezione.

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